7.9.11

Uomini che odiano le donne

L'altro giorno, più precisamente quando ho scritto la recensione di Kung Fu Panda 2, Robb mi fa: "ma perché scrivi sempre cose negative? Non puoi scrivere cose belle, ogni tanto?" In effetti ha ragione, ma non è che non ne abbia voglia: a stroncare le cose che non mi sono piaciute mi viene proprio naturale, così, di getto, mentre a parlare delle cose che invece ho apprezzato faccio proprio fatica. E non è che tutto quello che leggo o vedo mi fa schifo, anzi. Evitando di indagare sui risvolti psicologici di tutto ciò (sento già una vocina che dice "in realtà sei uno stronzo maligno!"), anche stavolta mi ritrovo con una cosa che mi ha colpito positivamente e di cui sento l'esigenza di parlare, solo che, semplicemente, non so cosa dire. Tuttavia, voglio provare a seguire il consiglio di Robb, e per una volta ho deciso di sforzarmi.

L'altro giorno ho finito di leggere Le sei reincarnazioni di Ximen Nao di Mo Yan, un mattone di quasi ottocento pagine che mi ha tenuto impegnato quasi un mese: bellissimo. Solo che dopo questa lettura sfiancante, avevo bisogno di qualcosa che mi rilassasse un po' il cervello. Mi sono messo a spulciare un po' per casa, e spulcia di qua, spulcia di là, ecco che salta fuori Uomini che odiano le donne, primo romanzo della saga poliziesca dello svedese Stieg Larsson, che poverello ha tirato le cuoia, pace all'anima sua, e la sua saga è rimasta per forza di cose una trilogia, la Trilogia Millennium. Ho fatto un po' di mente locale: poliziesco = svago = cervello in stand-by. Perfetto. Che poi si tratta del caso letterario degli ultimi anni, con milioni di copie vendute, film svedesi già usciti e versione hollywoodiana in arrivo, e quindi diciamo che un po' di curiosità mi era venuta da un bel pezzo.

Apro una parentesi: leggo di tutto e non ho assolutamente nulla contro i casi letterari e quella che viene definita, spesso con senso dispregiativo, letteratura d'intrattenimento. Sono convinto che la lettura è prima di tutto un piacere, come qualsiasi altra cosa, senza contare che la cosiddetta Letteratura con la L grande spesso si riduce a mero esercizio di stile e di erudizione, vedi l'ultimo di Umberto Eco. In altre parole, se una cosa vale, vale, punto e basta. Peccato che non tutto vale, e certe cose sono delle tali boiate succhiasoldi, sciape e insapori che lasciamo perdere che sennò vado fuori tema.

E' così, quindi, che ho deciso che era arrivato il momento di leggere questo thriller di 600 e passa pagine. Due giorni dopo era finito.

Ah, altra parentesi, è inutile che vi dica che questo post conterrà centinaia di **SPOILER**.

Uomini che odiano le donne non è certo letteratura alta, è letteratura di intrattenimento in tutto e per tutto, ma è letteratura di intrattenimento che vale, di quella che fa il suo dovere e lo fa per bene. Voglio dire, un libro di 600 pagine che si fa leggere in due giorni in qualche modo deve valere per forza.
Adesso arriva la parte difficile: spiegare perché mi è piaciuto. Dal momento che proprio non sono capace - ho tipo un blocco - lo farò mettendo questo libro a confronto con un altra serie di thriller che è diventata caso letterario negli ultimi anni e che io ho letto solo per appurare quanto mi facesse cagare: sto parlando di Dan Brown e dei suoi Il codice Da Vinci, Angeli e demoni e basta che gli altri mi sono rifiutato.

Partiamo subito dalle trame:
Uomini che odiano le donne è ambientato in Svezia, e i protagonisti sono il giornalista economico e fuori dagli schemi Mikael Blomkvist e l'hacker Lisbeth Salander. I due si trovano a dover indagare sulla scomparsa avvenuta quarant'anni prima di Harriet Vanger, nipote prediletta del vecchio capo delle industrie Vanger. La famiglia Vanger è composta tra l'altro di pazzi svitati con passati da nazisti, tutti presenti sul luogo del fattaccio (un'isola il cui accesso alla terra ferma era bloccato per un incidente) e quindi tutti potenzialmente colpevoli. L'indagine, inizialmente intrapresa con molto scetticismo, porterà a rivelazioni scioccanti, che comprendono donne trucidate brutalmente, razzismo, antisemitismo e citazioni del Levitico (sì, proprio quel libro della Bibbia noto per essere preso alla lettera solo per quanto riguarda i gay).
La trama del Codice Da Vinci e di Angeli e Demoni è di tutt'altra pasta: nessun intrigo familiare, ma cospirazioni mondiali da parte di sette segrete e fanatici religiosi, laboratori segreti e ricerche impossibili di monili leggendari e principesse scomparse, il tutto seguendo le tracce che sono state lasciate dai più grandi artisti nel corso della storia. Qualcuno ha detto megalomania?
Uomini che odiano le donne è un'indagine su crimini efferati, con personaggi grotteschi e risvolti raccapriccianti, ma se ci pensiamo bene tratta di vicende che potrebbero benissimo capitare ai nostri giorni, cosa sottolineata dal filo conduttore di tutta la storia, ossia la violenza sulle donne, fatto, questo, evidenziato dai dati statistici disseminati all'inizio di ogni capitolo. Critica sociale, dunque: una famiglia potente, rispettabile e stimata che nasconde una facciata brutale e disumana. Critica sociale sottolineata anche dal mestiere del protagonista, un giornalista indipendente che denuncia i reati economici e attacca gli altri giornalisti, i quali non fanno altro che piegarsi al potere, e noi in Italia ne sappiamo qualcosa.
Leggere Dan Brown, invece, è come vedere uno qualsiasi dei milioni di film d'azione americani, che ok i templari, ok gli Illuminati, ok tutte le curiosità storico-artistiche, ma talmente irreali e talmente pompati da far sembrare il tutto la versione Misson Impossible del Nome della Rosa.
Anche l'elemento religioso presente nei due autori è di stampo diverso: in Dan Bronw è centrale, ed è fatto apposta per scandalizzare, fare baccano, esagerato e esasperato, come il neo-papa che organizza un eccidio e si dà fuoco in cima a San Pietro in una scena di una teatralità da blockbuster manco fosse Guerre Stellari. In Larsson, invece, il tema religioso è velato e accennato, infonde sì quel gusto esoterico e dark, ma fondamentalmente serve per sviare le indagini: l'assassino è semplicemente uno svitato, un pazzo sadico che macella le donne per piacere, come se ne sentono ogni giorno al tg, e quindi molto più spaventoso di un qualsiasi frate che si fustiga con il cilicio per eccesso di fanatismo. Perché in Dan Brown è tutto così irreale ed esagerato che anche le cose che dovrebbero far raccapriccio si livellano sull'irrealtà generale e smettono di essere temibili.

Parliamo ora dei personaggi, tema che mi sta particolarmente a cuore:
I personaggi di Dan Brown sono quanto di più piatto e stereotipato esista: il professore col fascino del secchione, la donna bella e letale, il poliziotto sospettoso, il cattivo inaspettato (che vabbè, è un giallo), ma tutti loro fondamentalmente non hanno nulla di umano. In Uomini che odiano le donne, invece, i personaggi sono tutti affascinanti e ben delineati psicologicamente, con l'apice nella figura ormai cult delll'hacker Lisbeth Salander: una sociopatica glaciale e violenta, con disturbi della personalità (secondo i giudici) e che si fa giustizia da sola (si rifiuta di avere a che fare con la polizia, anche dopo la risoluzione del caso), che va in giro traforata dai piercing e dagli aghi dei tatuatori. Una ragazza che si rifiuta di avere contatti umani, se non con Mikael Blomkvist, l'unica persona che la tratta da essere umano, senza pregiudizi e senza cercare di portarla sulla retta via. Se in Dan Brown i personaggi si dividono in buoni e in cattivi, ad eccezione del colpevole che per esigenze di trama deve essere insospettabile, in Larsson questa divisione è labile. A parte Mikael Blomkvist che ricordiamolo si fa tre mesi in galera, e a parte i Vanger che chi più chi meno hanno tutti il loro grado di stronzaggine, prendiamo Lisbeth: Lisbeth è una vittima, ha un passato e un presente dolorosi, e anche se contribuisce a stanare un killer seriale, lo fa per odio personale contro questa categoria di "uomini che odiano le donne", non per senso morale o della giustizia. E parlando di morale, è morale non aver denunciato la cosa alla polizia? E' morale la sua occupazione di hacker? E' morale aver risolto il suo problema con il tutore-stupratore legandolo e tatuandogli la frase IO SONO UN SADICO PORCO, UN VERME E UNO STUPRATORE a tutto petto?
C'è poi un'altra differenza: prendete il professor Langdon, protagonista di Dan Brown. E prendete la scena alla fine di Angeli e Demoni, quando lui si trova su un elicottero che sta per esplodere a causa dell'anti-materia, e al momento dell'apocalisse totale lui si salva usando un asciugamano che ha trovato lì per lì come paracadute e virando verso il Tevere. Un asciugamano. Un professore di storia dell'arte. Cioè, roba che nemmeno Indiana Jones. Ma quale essere umano, seppure fuori dall'ordinario, potrebbe fare mai una cosa per cui sono necessari sangue no freddo, freddissimo, e anni e anni di addestramento?
Invece le vicende in cui sono coinvolti i personaggi di Larsson sono in tutto e per tutto coerenti con le loro personalità e con le loro possibilità. Se qualcosa di straordinario c'è, è perché i personaggi sono in grado di farlo. Se Lisbeth Salander è in grado, con un computer, di infilarsi anche nel bucio di culo di mia nonna, è perché lei è sì una personalità chiusa e instabile, ma con una memoria fotografica eccezionale e forse affetta da sindrome di Asperger, una forma di autismo che porta comportamenti asociali ma anche capacità intellettive sopra la media.

Vedete quanto divento noioso quando parlo di qualcosa che mi piace?
Faccio un breve riassunto per chi non ce l'ha fatta a leggere tutto il polpettone: Dan Brown e Stieg Larsser, due autori di gialli, due saghe d'intrattenimento, la prima Tomb Raider al maschile al Louvre e al Vaticano, la seconda una storia spaventosamente sobria e comune, senza quel sensazionalismo a tutti i costi e con uno sfondo nemmeno troppo nascosto di critica sociale. E adesso semplicemente fremo per leggere gli altri due.

Prima di finirla che ci siamo rotti tutti, dico due parole sul film, per ora quello svedese che quello americano esce a dicembre. Niente di che, qualche modifica alla trama ma poco importa, l'essenziale è il risultato, discreto ma niente di memorabile. Solo una cosa: i personaggi, cavolo, i personaggi! Questo è il rischio più grande di quando si fanno queste trasposizioni, snaturare i personaggi. A parte Mikael che sembra un vecchio cretino e con la faccia butterata, ma Lisbeth! Ma chi è quella figa?? Figa e ESPRESSIVA! Non sono due piercing e un taglio emo a fare un personaggio emarginato: Lisbeth è uno scrocchiazzeppi di un metro e mezzo freddo e imperscrutabile e che non manifesta la minima emozione, che sia rabbia, dolore o piacere. Nel film invece è strafottente e sfacciata, oltre a essere troppo, troppo figa. Addirittura c'è una scena in cui (mi pare) va dal suo tutore, che sappiamo che fine fa, viene fatta sedere e dice "grazie". Grazie! Sto regista praticamente non c'ha capito un cazzo. Chissà che verrà fuori dalla versione americana. Daniel Craig nel ruolo di Mikael mi sembra decisamente più azzeccato, e anche Lisbeth visivamente rispecchia molto di più l'idea che mi ero fatto di lei. Bisogna vedere solo la realizzazione, sperando che David Fincher, che insomma non è il primo arrivato, faccia un lavoro come si deve e che non mi tiri fuori l'ennesimo Codice Da Vinci senza arte né parte che sennò stavolta ho finito ufficialmente di vedere trasposizioni americane dei romanzi di successo.

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